Presentare documenti falsi per ottenere il permesso di soggiorno è sempre reato?

Ci siamo recentemente occupati del caso di un cittadino straniero extracomunitario che era accusato di aver presentato alla questura documentazione falsa attestante lo svolgimento di attività lavorativa al fine di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno.
La vicenda brevemente è la seguente: la questura si accorge che un buon numero di pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno di cittadini stranieri extracomunitari sono corredate da contratti di lavoro, buste paga e modelli CUD emessi da una medesima cooperativa.
Vengono svolti degli accertamenti e si scopre che la cooperativa suddetta, accanto ad alcuni rapporti di lavoro effettivamente sussistenti, ha fornito documentazione attestante l’esistenza di rapporti di lavoro a cittadini stranieri mai occupati.  
La questura procede a quel punto a bloccare tutte le pratiche pendenti nelle quali fosse stata prodotta la documentazione di cui si contestava la apocrificità.
Successivamente i cittadini stranieri che risultavano aver presentato quella documentazione vengono denunciati e nei confronti degli stessi vengono emessi altrettanti decreti penali di condanna.
Il nostro, appunto, era destinatario di uno di questi.
Frattanto la questura aveva notificato al cittadino straniero extracomunitario in questione un preavviso di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno a cui era seguito dopo alcuni mesi il provvedimento reiettivo.
Ebbene, qual è il reato commesso dallo straniero che presenta documentazione asseritamente falsa al fine di ottenere il rinnovo del proprio permesso di soggiorno?
Il decreto penale di condanna contestava al nostro la violazione degli artt. 110, 48, 476-479 c.p. imputandogli di aver fatto predisporre la documentazione fasulla e così di aver indotto in errore il personale della questura.
Come dicevamo, tuttavia, nel nostro caso il permesso di soggiorno non era mai stato rilasciato: anzi, la questura aveva notificato al cittadino straniero il provvedimento di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno proprio in ragione della contestata falsità dei documenti prodotti a sostegno della domanda.
Opponendoci al decreto penale di condanna abbiamo perciò sostenuto che “non è integrato il reato di falsità ideologica per induzione in errore del p.u. nel caso in cui quest’ultimo non si sia determinato, in conseguenza delle false dichiarazioni rese dal privato, a porre in essere una condotta qualificabile come atto idoneo e diretto in modo non equivoco all’adozione del provvedimento ideologicamente falso, in quanto solo gli atti del p.u. conseguenti all’induzione in inganno possono assurgere ad elemento del tentativo del falso commesso da quest’ultimo e non già il mero inganno del privato” (Cass. Pen, Sez. V, 13.12.2007 n. 12034).
Il Tribunale di Treviso ha ritenuto che i fatti contestati integrassero comunque la violazione dell’art. 5, co, 8 bis, D.Lgs. n. 286/1998 “risultando pertanto irrilevante, ai fini della configurazione del reato, l’effettivo rilascio, in conseguenza del falso del permesso di soggiorno”.
La Corte d’Appello di Venezia, accogliendo il gravame, ha invece mandato assolto il nostro assistito perché il fatto non sussiste.
Questo l’interessante iter argomentativo sviluppato dal Collegio:
1)      non essendo seguita alla attività ingannatoria del privato l’emissione dell’atto amministrativo (il che avrebbe integrato la consumazione del reato)  ma nemmeno altra attività del pubblico ufficiale (che si era limitato a respingere l’istanza) non può ravvisarsi la fattispecie di cui agli artt. 476-479 c.p. nella forma del tentativo. In effetti, la falsa dichiarazione del privato, di per sé, è atto solo potenzialmente idoneo a ingannare il pubblico ufficiale ma solo se il pubblico ufficiale viene ingannato la condotta del privato diviene atto idoneo alla realizzazione del reato di falso ideologico in atto pubblico, diversamente rimane un atto preparatorio;
2)      neppure è sussistente la violazione dell’art. 5, co. 8-bis D.Lgs. n. 286/1998 che concerne condotta di falso materiale mentre il fatto descritto nell’imputazione concerne documenti autentici, non alterati ma falsi nel loro contenuto (ideologico);
3)      né, infine, il fatto può essere riqualificato, come proposto dal Procuratore Generale, ai sensi dell’art. 483 c.p., fattispecie che ricorre quando l’atto pubblico ha la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale e quindi nel caso in cui al dovere del privato di affermare il vero corrisponda il dovere del pubblico ufficiale di recepire e dare documentazione alla dichiarazione del privato. In particolare, la distinzione tra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) e la falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale per errore determinato dal privato (artt. 48-479 c.p.) è individuabile nel fatto che la norma di cui all’art. 483 c.p. riguarda il caso in cui il pubblico ufficiale deve limitarsi a riportare nell’atto pubblico la dichiarazione del privato, mentre ricorre la seconda fattispecie nel caso in cui la dichiarazione del privato è un mero presupposto di fatto, utilizzato dal pubblico ufficiale per compiere l’attestazione di verità di fatti. La fattispecie contestata non poteva dunque essere qualificata ai sensi dell’art. 483 c.p. in quanto nell’iter per il rilascio del permesso di soggiorno il pubblico ufficiale non è tenuto a documentare la dichiarazione del privato bensì ad emettere l’atto autorizzatorio dopo aver verificato quanto dichiarato dal privato richiedente.